Fiabe dalla Grecia

Fiabe dalla Grecia: mito, memoria, rito e quello che manca all’Occidente.

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MORK MINDY ORK

Il pianeta Ork si è chiesto quale potesse essere il modo migliore per congedarsi prima delle festività natalizie e ha trovato che non vi fosse nulla di meglio che farlo riportando all’attenzione dei suoi lettori l’interesse per il mondo e la cultura greca in un anno estremamente speciale da questo punto di vista, essendo quello in cui si è realizzato il sogno di atterrare in Grecia e si è definito quello di volerci tornare più e più volte per conoscerlo meglio in tutte le sue latitudini, più profondamente e meno convenzionalmente. Non potendolo concretizzare, il secondo, nell’immediato, quale soluzione adottare per rimanere connessi a quello spirito se non provando a immergersi nella sua cultura? Un lavoro essenziale e funzionale a tal fine lo svolge la casa editrice Aiora che, unitamente alla contemporaneità, ha il merito di recuperare pezzi di classicità che a una buona fetta di pubblico, meno addetta ai lavori, difficilmente arriverebbero. Un esempio è egregiamente offerto dalla raccolta dal titolo “Fiabe dalla Grecia” (traduzione di Elisabetta Garieri) che il pianeta Ork ha portato a casa direttamente dalla città di Atene in una vacanza memorabile tra antiche rovine, cieli imponenti e riverberi di luce in uno scorcio di ultima estate in cui tutto avrebbe potuto conoscere una fine nella ricollocazione di senso che questa terra concede a tutte le nostre inquietudini.

Recita un passaggio della premessa: “I racconti qui riuniti sono di vario genere: fiabe di magia di influenza medievale, favole di animali, leggende legate a miti antichi e a più recenti credenze popolari, barzellette. Provengono da diverse aree del mondo grecofono di ieri e di oggi: dall’Attica a Cipro, dalle coste dell’Asia Minore alla Calabria. Per ognuna è indicata una regione di riferimento, ma la maggior parte circolava anche in altre zone, perché erano racconti tradizionali tramandati oralmente, di generazione in generazione, con molte varianti e temi ricorrenti. Per questo hanno una prosa semplice, ricca di ripetizioni o lacune, e la loro ambientazione è caratterizzata da spazio e tempo indefiniti”. Questo ci consente di cominciare a definire gli ambiti tracciati in qualche modo dalla selezione compiuta dalla casa editrice: non solo una varietà tipologica che include forme diverse di declinazione della fiaba che vanno dal recupero della mitologia e della classicità in genere fino alla celebrazione della dimensione volgare della medesima passando per l’occultismo medievale, ma anche epoche differenti a cui la gradazione tipologica inevitabilmente e storicamente corrisponde e luoghi di origine non necessariamente confinati nella terra nazionale, ma estesi a tutti quei punti che in un’ipotetica mappa restituiscono la grandezza del pensiero e della civiltà greca per influenza e capacita di estensione, quasi una fenomenologia dello spirito che la limitata catalogazione politica dell’esistente non è in grado di arrestare.

Esistono, però, in questo universo ampio, ci dice la premessa, temi che ricorrono e che, passando per la tradizione orale, non hanno una fissità storica, ma fluiscono da un luogo all’altro in epoche diverse in una contaminazione reciproca, responsabile della ricchezza e dell’atemporalità definitiva che se ne scorge al termine, quasi fosse l’intera raccolta una corrente che, pur nata da innumerevoli affluenti, procede inarrestabile verso un punto finale che è la sintesi di una memoria collettiva dentro cui tracciare le coordinate funzionali a un dimenticato modo di stare al mondo. Se si dovesse provare a dare sostanza a ciò, sarebbe ineliminabile la considerazione svolta dalla premessa in merito alla semplicità della prosa che, nutrita di ripetizioni e lacune, potrebbe apparire un limite agli occhi di chi cerca una corrispondenza tra la complessità tematica e l’estetica funzionale alla narrazione. È esattamente il suo opposto, oltre che un ideale spunto di riflessione sulle scritture contemporanee. Proviamo a spiegarlo. Intanto si tenga conto che si tratta di testi tradotti dal greco e chiunque lo abbia masticato, il greco, anche solo per il tempo del passaggio liceale, sa bene che ogni piccolo pezzo racchiude, se non un universo compiuto, tasselli di un componimento di pensiero che si completa con l’ultimo elemento, parola o verbo o altro che sia, funzionale alla restituzione di una compiutezza, di un cerchio che, aperto, necessariamente si chiude. Dunque, più nuclei. Questo aspetto, però, appartiene alla lingua, a quel substrato in cui si sostanzia l’identità di un popolo e la sua visione del mondo che passa dal linguaggio.

Il fatto che, nella disamina delle fiabe, balzi agli occhi una semplicità della prosa, seppure relativa, in funzione delle caratteristiche linguistiche di cui si è appena detto, è un elemento in più su cui vale la pena di spendere qualche parola. Intanto per chiarire che essa non è per nulla la negazione della complessità e ricchezza, concettuale, filosofica e/o immaginativa, dell’universo tracciabile dalla costellazione delle fiabe selezionate dall’editore. Al contrario, essa si configura come l’esito felice della collocazione di alcune tematiche cruciali dell’umano e dell’esistente all’interno dei canoni offerti dal genus della fiaba, come se l’adattamento del pensiero in quelle strettoie imponesse un rigore funzionale alla ricostruzione della storia e all’efficacia del finale che esplode nella sua essenzialità, privo di orpelli, in una verità semplice. In realtà, c’è un ulteriore passaggio che è tutto a vantaggio dell’immaginario. La gran parte delle storie ha una tale ricchezza di sviluppo narrativo, nonostante le ripetizioni di facciata, anche nella rivelazione di incastri non esattamente lineari e, talvolta, neanche immediatamente comprensibili, che, se non ci fosse una schematica tracciata nella sua essenzialità, il risultato sarebbe pesante e forzato, dirigendosi verso dimensioni lontane dal fiabesco. Abbiamo accennato a un’utilità contemporanea. È abbastanza chiaro che tutto questo è una modalità di approccio narrativo distante da molte delle letture che ci passano sotto gli occhi per scelte editoriali discutibili e che prediligono l’innovazione costruttiva che di per sé non sarebbe propriamente una cattiva cosa, se solo si accompagnasse a un’idea di fondo forte e a un talento di scrittura che si rintraccia sempre più raramente, poiché siamo sempre tutti più bravi a scrivere, ma sempre di meno quelli che nascono per scrivere. Tra gli autori italiani, ad esempio, l’ultimo Adrian Bravi si muove su questa linea, ma è un’eccezione.

Dunque, urgenza di un recupero di semplicità, non solo per raccontare un tempo estremamente complesso come il nostro che non necessita di scarti, cioè di eliminazione di parti, di riduzione, ma di una semplicità che sia il frutto di un lavoro di studio e di estensione collettiva che arrivi a tutti o quasi. Non solo. La modalità di riconduzione della realtà alla finzione deve necessariamente nutrirsi di un pensiero che, come quello greco, passi dalla nostra esperienza, interagisca con l’esistente, si nutra di quello che non c’è, ci racconti nei nostri bisogni essenziali fuori dalle logiche di consumo rapido e di morte senza ciclicità di questo tempo precipitoso e proprio per questo destinato a finire. Ce lo dice anche un altro passaggio della premessa: “Nella nostra epoca di immagini, narrazioni veloci e sviluppi precipitosi, in cui tutto viene sostituito rapidamente da qualcosa di nuovo, e siamo bombardati da informazioni continue, non è facile trovare spazio per le fiabe popolari, che seguono il ritmo lento d’altri tempi e richiedono pazienza e immaginazione”.

Aggiungiamo un ulteriore tassello. Nonostante le fiabe scelte nel contesto della raccolta di cui qui si scrive manifestino un’evidente adesione a quella schematica di cui si è detto e senza la quale non saremmo in presenza di un chiaro universo fiabesco, la grecità parrebbe declinarsi anche nell’eccezione, nello spiazzamento che il lettore subisce per effetto di colpi di scena che alterano l’ordinario immaginario concedendoci visioni che oltrepassano il fiabesco e si congiungono con l’anima grigia di una realtà in cui il bene non conosce l’assolutezza del candore, come il male l’oscuro ed esclusivo inabissarsi nelle tenebre. Così un orco può anche offrire una via di fuga, una chance, un’opportunità, può intercedere, può riconsiderare la sua posizione, una madre può anche essere la benefattrice delle sorti di un figlio, dopo un illustre e onorevole percorso da strega, l’asino può anche farsi beffa di una volpe, la memoria dei sette nani può tramutarsi nell’accoglienza dei dodici fratelli o nella benevolenza dei dodici mesi, le sorelle sono anche esseri capaci di fare del male, senza la rassicurazione di poterle relegare alla infima condizione di sorellastre, le sfide talvolta si vincono per astuzia o coincidenze del caso, non necessariamente per virtù innate, l’ostinazione, non sempre in partenza di buona matrice, si anima di altre possibili prospettive fino ad essere premiata, le creature del mondo di sotto possono assumere la veste di Kalikanzari, “inventario di tutte le magagne del mondo”, perché tutti, quelli più innocui come quelli più malefici, hanno qualcosa che non va e, se anche non riescono a fare del male agli uomini, raccontano a loro modo i disordini del mondo.

C’è spazio per Alessandro Magno e principesse e principi e orchi, streghe e fate, creature popolari mai sentite che richiamano le voci di un antico sud d’Italia e, forse, del mondo. Il mito, la favola, un rito. Diceva Cesare Pavese: “Prima che favola, vicenda meravigliosa, il mito fu una semplice norma, un comportamento significativo, un rito che santificò la realtà. E fu anche l’impulso la carica magnetica che sola poté indurre gli uomini a compiere opere”. Sostanzialmente il mito come consuetudine, quell’abitudinarietà che, per coinvolgimento popolare e convinzione diffusa della sua obbligatorietà, assume le fattezze normative di una sorta di autorità legislativa. Dunque, ciò che abbiamo dimenticato, l’opportunità di una norma dal basso che, di rapida, ma non immediata, creazione, genera una ritualità, un significante che arricchisce la miseria del mondo e aiuta l’uomo a concepirsi diversamente, oltre i confini del teatro greco.

Mindy