L’ospite misterioso

La macchina

Tutto ebbe inizio una sera di tregenda, alla vigilia di non so quale festa. Pioveva a dirotto e siccome l⁠ ⁠’⁠ ⁠in­domani era in programma una consegna imprevista, il padrone gli aveva ordinato di fare gli straordinari.
Era solo. Aveva chiuso a chiave le porte del labo­ratorio e aveva messo in funzione la macchina. A un trat­to però, verso mezzanotte, gli ingranaggi cominciarono a incepparsi finché a un certo punto si bloc­carono del tutto, come se la macchina, stanca di fun­­­zionare, avesse deciso di concedersi un po’ di riposo.
Diede un⁠ ⁠’⁠ ⁠occhiata alle viti, lubrificò le ruote dentate, diede qualche colpo di martello, prese uno straccio e spolverò i tubi. Fu tutto inutile. La macchina non ne voleva sapere di ripartire.
Per prima cosa imprecò, in preda alla frustrazio­ne. Poi, madido di sudore e con la testa in fiam­me, si sedette su una sedia e incrociò le braccia. Pensava alla nottata trascorsa inutilmente in bianco, al salario straordinario che era andato in fumo e alla serata di festa che si era perso. Correre a casa del padrone, svegliarlo e raccontargli l⁠ ⁠’⁠ ⁠accaduto sarebbe stato inu­­tile. Quel guasto soltanto un tecnico poteva ri­pararlo ma per questo occorreva attendere il nuovo giorno.
Si sentiva disperato e avvilito, tanto che gli occhi gli si riempirono di lacrime.
Si alzò e si diresse verso la macchina. Vi appoggiò sopra una mano e la guardò con espressione affranta, con gli occhi neri gonfi di lacrime, finché a un tratto, senza che lui avesse fatto niente, la macchina si rimise in funzione!
Funzionava di nuovo come sempre, gli ingranaggi si incastravano l⁠ ⁠’⁠ ⁠uno nell⁠ ⁠’⁠ ⁠altro con rapidità e precisione. Forse, pensò lui, aveva soltanto bisogno di un po’ di riposo. Si rimise al lavoro e nel giro di un paio d⁠ ⁠’⁠ ⁠ore preparò la consegna dell⁠ ⁠’⁠ ⁠indomani.
Il giorno successivo lo trascorse a rimuginare sugli eventi di quella notte. Lo strano comportamen­to della macchina non sapeva come spiegarselo. Tuttavia, obbedendo a una misteriosa voce interiore, quel­la storia decise di tenersela per sé. In cuor suo ave­va la sensazione che ci fosse sotto qualcosa di strano e di misterioso, di cui tutti era meglio che restassero all⁠ ⁠’⁠ ⁠oscuro.
Cinque giorni dopo si ripeté la stessa storia. La macchina a un tratto smise di funzionare ma si rimise subito in moto dopo che lui le disse qualche parola affettuosa accarezzandola con la mano.
Fu una rivelazione. Si rese conto, o meglio intuì, che la macchina si era innamorata di lui e che per farla lavorare senza interruzioni gli bastava soltanto accarezzarla e rivolgerle qualche parola affettuosa.
Detto e fatto, a partire da quel giorno lui prese a trattare la macchina con grande tenerezza. Le teneva compagnia fino all⁠ ⁠’⁠ ⁠alba, in pratica non la lasciava mai sola, e lei per ricompensarlo lavorava di buona lena.
Il padrone si accorse del cambiamento e per ricompensarlo della sua dedizione, gli concesse un aumento di stipendio e alcuni giorni in più di ferie suscitando lo stupore degli altri operai.
Con il tempo si mise in proprio e aprì un opificio tutto suo. La macchina decise di acquistarla e di portarla via con sé. Lavorava giorno e notte, senza sosta, compresi i giorni festivi, e nel giro di breve tempo mise insieme un cospicuo patrimonio.
Questa storia durò un paio d⁠ ⁠’⁠ ⁠anni. Gli bastava
rivolgere una preghiera alla macchina e quella si metteva subito a funzionare senza stancarsi né arrugginirsi mai. Tutto quello di cui aveva bisogno era uno sguardo affettuoso e qualche parolina dolce. E lui non se lo faceva ripetere.
I prodotti del nuovo opificio ottennero un grandissimo successo. I clienti erano molto soddisfatti e sempre più numerosi. Ma nessuno ven­ne mai a conoscenza del suo segreto.

****

Trascorsero altri tre anni. La macchina funzionava sempre in modo perfetto. Nel frattempo quasi tutti i concorrenti erano finiti in bancarotta, compreso il vecchio padrone, il primo proprietario della macchina. Lui se ne impietosì e decise di assumerlo nel proprio opificio.
A poco a poco la fama dei suoi prodotti superò persino i confini nazionali e divenne ricco sfondato. Ma più il patrimonio aumentava, più gli si induriva il cuore.
Non era più l⁠ ⁠’⁠ ⁠umile operaio che camminava a testa bassa. Adesso acquistava abiti all⁠ ⁠’⁠ ⁠ultima moda, frequentava i migliori ristoranti, poteva permettersi molti lussi e divertimenti. Quasi tutte le sere tornava a casa ubriaco.
Però prima di andare a dormire non si dimenticava di fare un salto all⁠ ⁠’⁠ ⁠opificio per dare il bacio della buonanotte alla macchina. Che continuava a lavorare come se fosse nuova.
Solo che adesso la macchina trascorreva le serate da sola. Lui usciva a divertirsi e intanto la macchina lavorava, cosicché al mattino, quando lui andava al­l⁠ ⁠’⁠ ⁠opificio, trovava tutto pronto. E se la macchina continuava a funzionare, era soltanto perché lui, ogni sera, non dimenticava di darle il bacio della buo­nanotte.
Trascorsero altri dieci anni. Adesso lui era uno degli uomini più facoltosi del Paese. Possedeva case e automobili, si era fatto costruire una lussuosa villa in campagna e tutti ne conoscevano la prodigalità. Le don­ne andavano pazze per lui. Lui però non voleva sposarsi. Preferiva divertirsi e passare le serate a gozzovigliare con gli amici sperperando i soldi e godendosi la libertà.
Ma una sera in cui rincasò più ubriaco del solito, dimenticò di passare dall⁠ ⁠’⁠ ⁠opificio per dare il bacio della buonanotte alla macchina, che l⁠ ⁠’⁠ ⁠indomani mattina non volle mettersi in funzione.
Si strinse nelle spalle con indifferenza. Lì per lì decise di partire per fare un lungo viaggio.
Ormai non aveva più nulla di cui preoccuparsi. Era proprietario di un vero e proprio impero economico e i soldi non gli mancavano. Neppure gli ami­ci e le amanti gli mancavano. Era una persona in­fluente e con quello che aveva, poteva vivere di rendita.
In quel periodo cominciò a giocare. Dapprima soltanto per divertirsi e per scacciare la noia. A poco a poco però divenne un vizio. Aveva scoperto il gu­­sto del rischio e nel contempo gli piaceva ostentare le sue ricchezze conducendo una vita sempre più dissoluta. Così prese la decisione di ritirarsi dalla professione, di licenziare gli operai previa una ge­nerosa liquidazione e di diventare giocatore profes­sionista.
Perse molto, vinse ancora di più, perse di nuovo. Il gioco lo faceva sentire vivo. Ma più giocava e più ardeva dal desiderio di giocare, in un circolo vizioso non privo di autolesionismo.
Gli altri scuotevano la testa ma facevano finta
di niente. I suoi presunti amici non erano altro che adulatori e parassiti, gente che viveva alle sue spalle e che gli teneva accuratamente nascosta la terribile verità: che le sue finanze andavano di male in peg­-gio e che la catastrofe non avrebbe tardato a sopraggiungere.
Un giorno però aprì gli occhi.
Annegava nei debiti. Ebbe uno scatto d⁠ ⁠’⁠ ⁠orgoglio ma non era facile cambiare vita. Continuò a sperperare. Vendette le case e le automobili, con il ricavato pagò i creditori e decise di mettere le mani sugli ulti­mi risparmi che aveva ancora in banca. Ma ormai era troppo tardi.
Fu abbandonato da tutti i suoi conoscenti, le amanti gli voltarono le spalle. Non riuscì a trovare più nessuno disposto a concedergli prestiti.
I mobili e le suppellettili furono messi all⁠ ⁠’⁠ ⁠incanto. Gli adulatori di un tempo cominciarono a trattarlo con insolenza. Lo accusavano di aver scialacquato il patrimonio, lo biasimavano per le sue notti brave e per la corruzione morale in cui era precipitato. Avevano dimenticato i vantaggi che ne avevano tratto, nei loro cuori non si ravvisava un briciolo di riconoscenza. Al contrario, ricordavano molti dettagli secondari, certi screzi insignificanti e piccoli torti che è normale subire tra esseri umani.
Davanti a lui si spalancò il baratro.
Nel giro di un anno del suo leggendario patri­monio non era rimasto quasi nulla. Era stanco e invecchiato, irriconoscibile e fu persino condannato a qualche mese di carcere. Quando uscì, era un rudere. Conobbe gli stenti, le privazioni, l⁠ ⁠’⁠ ⁠odio. Ma non la misericordia, che non riuscì a trovare da nessuna parte.
Una sera decise di riflettere su quello che doveva fare. Si sentiva ormai inadeguato alla vita e gli mancavano le forze per ricominciare. Non aveva mai pen­sato seriamente alla catastrofe, e quando questa era arrivata, improvvisa e inesorabile, lo aveva come paralizzato.
Finché a un tratto gli venne in mente la macchina. Si era completamente dimenticato di lei! A un passo dal precipizio si ricordò della macchina, a cui doveva tutta la sua fortuna. Grazie alla macchina era diventato ricco e soltanto grazie alla macchina aveva conosciuto il vero amore.
Cercò di ricordare dove fosse finita. Era determinato a fare qualsiasi cosa pur di ricuperarla e sperava che lo amasse ancora. Sperava che la macchina, almeno lei, non lo avesse tradito, visto che tutti gli altri lo avevano abbandonato e facevano finta di non aver­­lo mai conosciuto.
Cercò in tutte le fabbriche e i laboratori della cit­tà, chiese informazioni a destra e a manca.
Alla fine la ritrovò nel vecchio opificio. Era coperta di polvere, tutta arrugginita. Il nuovo proprietario non aveva ancora deciso che cosa farne e per il momento l⁠ ⁠’⁠ ⁠aveva lasciata al suo posto. Solo che nessuno l⁠ ⁠’⁠ ⁠aveva più utilizzata da molto tempo. Anche lei era invecchiata, proprio come lui. Le cinghie di trasmissione erano marce, gli ingranaggi erano ar­rugginiti, le molle si erano spezzate. Neanche il manometro funzionava più. Ormai era buona soltanto per il ferrivecchi.
Il nuovo proprietario dell⁠ ⁠’⁠ ⁠opificio si impietosì e
decise di assumerlo come operaio. Lui fece i salti di gioia. Non vedeva l⁠ ⁠’⁠ ⁠ora di restare solo con la macchina.
Accadde una sera di tregenda, alla vigilia di non so quale festa, in cui gli toccò un turno straordinario. Si avvicinò alla machina con le lacrime agli occhi e con le mani frementi di emozione provò ad accarezzarla di nuovo. Poi provò anche a baciarla.
La macchina si svegliò bruscamente dal suo lun­go, profondo sonno. Era in pessime condizioni, coperta di ruggine, con le molle spezzate e con gli ingranaggi ormai privi di denti. Poi a un tratto compì un giro sul proprio asse e con uno scatto secco, deciso, che produsse un sordo schianto metallico, simile a quello di una falce che miete un campo di grano, gli spiccò la testa dal collo.