L’ospite misterioso

Recensione di Elisabetta Garieri – culturificio.org

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Aiora è una casa editrice indipendente con sede ad Atene, nel quartiere di Exarchia, centro nevralgico dell’editoria greca. Con l’intento di mettere a disposizione i classici della letteratura greca moderna agli stranieri, residenti o turisti, Aiora ha avviato tre collane di libri tradotti in varie lingue, tra cui l’italiano. Nella collana Classici greci moderni si trovano titoli inediti di autori altrimenti già tradotti, e altri di autori pubblicati per la prima volta in italiano. Tra questi ultimi c’è L’ospite misterioso, una raccolta di sedici racconti pervasi da un’atmosfera cupa tra il gotico e lo weird, usciti dalla penna di un singolare dandy ateniese degli anni ’20: Napοleon Lapathiotis.

Lapathiotis nacque nel 1888 ad Atene, dove nel 1944 morì suicida, sparandosi un colpo in testa nella casa di famiglia a Exarchia. Aveva dilapidato il patrimonio ereditato dai genitori – in particolare la biblioteca, una delle collezioni private più ricche dell’epoca – perché dipendente dall’eroina. Grande ammiratore di Oscar Wilde, provocatore, omosessuale dichiarato in tempi non sospetti, a lungo fu conosciuto più per il mito del suo personaggio che per i suoi scritti. L’aura da poeta maledetto che lo avvolge è quella della generazione letteraria degli anni ’20, definita neoromantica o neosimbolista, che soffrì le ferite provocate dalla disfatta greca contro la Turchia. Gli eventi storici di quel periodo, come lo scambio forzato di popolazioni tra i due paesi, segnarono le vite di questi poeti, caratterizzate da tossicodipendenze, malattie, suicidi.

Oltre che scrittore, Lapathiotis era stato interprete militare dal francese, traduttore de La macchina del tempo di H.G: Wells e vivace sostenitore dell’Intesa. In Grecia fu riscoperto negli anni ’60, quando iniziò la ripubblicazione delle sue poesie, circa trecento quelle edite, e dei suoi racconti, in tutto un centinaio. L’ospite misterioso è un’antologia di questi ultimi a cura del traduttore e filologo Maurizio De Rosa.

Privi di una precisa ambientazione storica come sono, i racconti brevi di Lapathiotis giocano tutto sull’atmosfera, puntando sulle impressioni visive. Per l’autore, d’altronde, ha un ruolo fondamentale il cinema: lo fa notare De Rosa nella postfazione, citandoStoria di natale, «in gran parte strutturato come un lungo piano sequenza» e in cui «i ragazzini che ne sono protagonisti visitano un cinema e guardano il film in programma per ben due volte».

Cimiteri, teschi, follia, malattia o comportamenti inspiegabili: in tutti i casi l’impianto narrativo sottende un tema, quello dell’incontro, o meglio della sua impossibilità. L’ospite misterioso, il racconto che dà il nome alla raccolta e la apre, sancisce che l’unico incontro destinato a compiersi senza intoppi è quello con la morte – altra costante dell’antologia. Tanta è la serenità con cui L’ospite misterioso si chiude, tanta è la vertigine che aleggia su tutti gli altri racconti: una sorta di tensione, destinata a sciogliersi solo con la morte.

Il tema dell’incontro mancato è caro ai poeti bohémiens fin da Baudelaire: il poeta/flâneur si muove tra la folla che anima le capitali europee, sempre più popolose, scoprendo di essere anonimo, e di non poter ottenere, degli altri, che impressioni fugaci ed effimere. Da questo punto di vista è emblematica l’immagine evocata da Baudelaire in A una passante, che, ricorda Romano Luperini [L’incontro e il caso. Narrazioni moderne e destino dell’uomo occidentale, Bari-Roma, Laterza, 2017], costituisce una sorta di modello «del tema dell’incontro per l’uomo moderno», caratterizzato da alcuni elementi costitutivi, tra i quali, come luogo per eccellenza, la città.

Per Lapathiotis e i suoi sodali l’influsso dei francesi è dichiarato, fin dall’introduzione del poeta Tellos Agras all’Antologia dei giovani del 1922, che presentava settanta protagonisti della nuova generazione letteraria. Molti dei personaggi di Lapathiotis si muovono così in scenari urbani, con tutte le caratteristiche delle grandi metropoli europee: spazi ampi e affollati, dove regna la confusione visiva e sonora – come strade, porti, mezzi pubblici – oppure ampi e vuoti, dove è possibile trovare ritagli di solitudine – come parchi o cimiteri. In due dei racconti de L’ospite misterioso – La donna velata e Lo straniero – torna proprio il topos di A una passante: l’immagine degli occhi di una donna, carichi di dolcezza ma perturbanti, intravisti e poi persi per sempre.

Ne La donna velata un uomo, solo su una panchina del parco dello Zappio ad Atene, viene abbordato da una donna misteriosa: dopo aver rifiutato le sue avances, si rende conto di aver mancato l’incontro con l’Amore. Il parco dello Zappio non è un posto qualunque: è il luogo per eccellenza degli incontri fortuiti, storicamente deputato dalla comunità gay di Atene agli amori occasionali. Ne Lo straniero un uomo sbarca in un grande porto, dove sperimenta il tipico spaesamento indotto dalla folla:

In quel momento si rese conto di essere un pesce fuor d’acqua, che quel mondo pieno di emozioni inaudite e impreviste, di persone imperscrutabili e problematiche, simili a fantasmi per i quali lui era un perfetto sconosciuto […] quel mondo, dunque, gli roteava intorno a ritmi vertiginosi cancellando tutti i suoi ricordi di un tempo.

Anche qui l’uomo s’imbatte in due occhi «fuggitivi» e carichi di struggente dolcezza – dei quali però non viene specificato se siano femminili. Lapathiotis ambienta le sue storie in posti che appaiono quasi senza tempo: tuttavia il porto è un luogo evocativo, snodo di uno degli eventi storici più segnanti per la sua generazione. All’inizio degli anni ’20, infatti, al Pireo si riversarono il milione e mezzo di profughi costretti dallo scambio forzato di popolazioni a migrare dalla Turchia: molti di loro, senza un posto dove andare, rimasero lì a vagabondare, dedicandosi al malaffare e alla musica proibita che verrà anche definita come «il blues greco», il rebetiko.

Se l’incontro con la morte è l’unico che può avvenire, lo scenario urbano funge da preludio in diversi altri casi a questo esito fatale, che si compie però nei modi più disparati. In La macchina, in particolare, a fallire è la relazione non tra due esseri umani, ma tra un uomo e una macchina. Durante una notte di straordinari, lasciato solo dal suo padrone nel laboratorio, un operaio si ritrova a tu per tu con una non meglio identificata «macchina», che non vuole più saperne di funzionare. Dopo averla toccata sconsolato, scopre che questa è sensibile alle sue carezze, grazie alle quali ricomincia a lavorare a pieno ritmo. L’uomo entra in simbiosi con la macchina, la tratta con i riguardi dovuti a una fidanzata, e questa diventa il motore del suo successo: da operaio a padrone di una ditta leader nel suo campo, anche oltre i confini nazionali. Ricco sfondato e ormai dedito a una vita di lusso e sfrenatezza, finisce un giorno per dimenticarsi della macchina: è l’inizio della fine. Quando, da giocatore d’azzardo incallito, si ritrova sul lastrico e si ricorda infine della sua amata, questa si vendica tagliandogli, con un sol colpo, la testa. Va così in frantumi anche quest’unica, singolare illusione di reale rapporto con l’Altro.

Nessun conforto è possibile, nell’universo narrativo di Lapathiotis, per l’essere umano, solo di fronte al suo destino ineluttabile, senza speranze di un reale contatto con i suoi simili. Anche il mondo delle macchine, potenzialmente foriero di successo e progresso, è solo un’ulteriore minaccia incombente. Ne Gli alberi di limone persino il mondo vegetale è partecipe di questo clima di accerchiamento. Una donna, che ha una relazione epistolare con il fidanzato lontano, si rende conto che lui è innamorato sì, ma non di lei: «Il suo posto era stato occupato dagli alberi di limone del giardino, i quali, forse, un giorno si sarebbero sbarazzati di lei del tutto». Dopo una lunga malattia, la protagonista finisce per soccombere proprio al profumo degli alberi di limone, fioriti con la primavera.

Così, tutta la tensione che regge le scarne trame di Lapathiotis si articola nel rapporto con un’alterità inquietante, facendo dell’incontro, che esso avvenga o meno, un elemento di forma e di contenuto allo stesso tempo: con le parole di Luperini [op. cit.], «un tema dell’intreccio» e «un artificio della trama». Seguendo l’analisi di Luperini, nella letteratura di epoca moderna esso si configura sempre più come mancato, perché smette di essere conoscenza dell’Altro per diventare faccia a faccia con se stessi, passando da «l’esperienza dell’incontro» a «l’incontro come fine dell’esperienza».

L’analisi si adatta perfettamente ai racconti de L’ospite misterioso, perché quale fine più definitiva dell’esperienza, se non la morte? Nel constatare quest’unica certezza, solo l’estetica gotica, esemplificata dai tre tableaux della Trilogia del cimitero, sembra assumere per Lapathiotis un vago valore consolatorio. Un’immagine potrebbe racchiudere il lamento che serpeggia in sottofondo a tutta l’antologia, quella evocata dalla poesia Desideri di Costandinos Kavafis:

Come corpi belli di morti, mai raggiunti dalla vecchiaia / e chiusi, piangendo, in splendidi mausolei, / con rose sul capo e gelsomini ai piedi – / così sono i desideri passati / e mai realizzati, senza una sola notte, / né un mattino luminoso, di piacere [Tutte le poesie, traduzione e cura di Paola Maria Minucci, Roma, Donzelli, 2019].

Nel 1917 Lapathiotis si trasferì ad Alessandria con i genitori: lì conobbe Constandinos Kavafis, che come lui era omosessuale, e fece per la prima volta uso di hashish. Negli anni precedenti il suo suicidio condusse ad Atene uno stile di vita decadente.

di Elisabetta Garieri